SEPARATI IN CASA? (contenuto: separazione delle carriere, Giudici e PM, problemi della Giustizia Penale)
Nel 1989, con l’avvio del codice di procedura penale che introduceva il modello accusatorio, l’idea di separare le carriere -per dare un segno visibile di cambiamento rispetto al modello inquisitorio e per favorire così quella terzietà del Giudice che era il concetto posto alla base del processo- pareva opzione possibile e, forse, anche dovuta.
Il mondo era ancora quello della prima Repubblica, con tutti i suoi limiti e difetti gravissimi, ma ancorato almeno a certi valori ed a concetti di Stato, di Nazione e di Popolo che erano sostanzialmente condivisi da tutte le forze politiche, sociali e culturali del Paese; sia dai fautori, sia dai detrattori del sistema che, in ogni caso, era riconosciuto nelle sue dinamiche e nei suoi principi; soltanto le frange estremistiche ed armate vi si erano poste contro, ma oramai erano state annientate.
Dovevano ancora emergere Tangentopoli, la disgregazione -od, almeno, il rimaneggiamento- dei partiti del dopoguerra, le stragi di mafia, l’era Berlusconi e quanto essa ha ulteriormente inciso sull’equilibrio sempre più precario fra giustizia e politica, il problema migratorio, la crisi dell’economia moderna e la crescita dei nuovi imperi immateriali e senza territorio, radicati sulla rete, per arrivare infine ai numeri impressionante dei suicidi in carcere (che oramai non fanno nemmeno più notizia, quasi che la fase cautelare e quella dell’esecuzione possano apparire qualcosa d’estraneo al processo penale, quando ne sono il portato più evidente e di impatto).
Allora non si fece nulla per separare Giudici e PM ed ora -dopo che tutto ciò è stato- siamo approdati alla riforma “Nordio”; ma, come diceva qualcuno, se “un mondo migliore è possibile ma uno peggiore è anche più probabile”, nell’enfasi di rendere forse effettivo il processo accusatorio, si rischia di dare l’immagine di un cambiamento epocale per limitarsi a creare, nei fatti, una situazione di mera apparenza quando potenzialmente anche peggiore di quella attuale.
Se il problema da risolvere era quello della comune provenienza dei rappresentanti delle due funzioni, cosa cambia ora che, comunque, pubblici ministeri e giudici restano pur sempre magistrati che si formano negli stessi ambienti e che sanno di essere parte di uno stesso potere dello Stato ? Come sornionamente afferma il professor Coppi, non saranno più “fratelli” ma saranno sempre “cugini”, dandosi ancora del “tu” esattamente come prima e conservando entrambi l’uso del “lei” verso i difensori.
D’altra parte, persi i riferimenti condivisi di cui si è detto, definitivamente svaniti in via progressiva nel corso di quasi quarant’anni, proporre ora un PM esterno alla giurisdizione e che risponda al potere politico (quale che esso sia) sarebbe una idea scellerata, capace di sovvertire il concetto dell’obbligatorietà dell’azione penale che, da principio almeno astrattamente esistente, diverrebbe un mero ricordo, in uno scenario destinato a diventare il portato di scelte palesemente eterodirette.
Dunque, sul piano dei massimi sistemi, niente di fatto; se invece guardiamo ai più evidenti problemi della giustizia penale, quali la carenza rilevante di organico a fonte del numero dei reati ancora elevato e osmoticamente portato a rimpinguarsi dopo ogni depenalizzazione (già questo fenomeno rispondendo a scelte politiche molto invasive) è difficile comprendere come la separazione delle carriere possa migliorare la situazione e portare risultati seri e tangibili.
Insomma, al netto del clamore e delle polemiche -quasi che di veleni in giro non ne circolassero abbastanza- la recente riforma ha creato una sorta di “separati in casa”, sostanzialmente inefficace agli effetti desiderati dal legislatore del 1989, inutile sul piano pratico e dal sapore di “contentino” che, a chi è maturo nella professione, non reca alcun lenimento, nel marasma crescente di un Paese che ha perso irreversibilmente i propri valori di riferimento, anche e troppo spesso nelle aule di Giustizia.
Avv. Gabriele Bordoni
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