GIUSTIZIA (PAL)AMARA (contenuto: giustizia, politica, palamara)
Il tema sul quale voglio spendere qualche espressione meriterebbe un’ampia ed approfondita analisi, attesane la centralità e la estrema delicatezza.
Ma io mi limito a brevi osservazioni di ordine generale, capaci tuttavia di giungere alla conclusione che anche questo cosiddetto scandalo non porterà a nulla. Infatti, è oramai un anno da che sono emerse quelle intercettazioni che davano conto di quali fossero le modalità malate che venivano seguite per giungere alla determinazione di vertici di Uffici Giudiziari importanti, specialmente delle Procure.
Nell’arco di un anno, abbiamo avuto modo di conoscere maggiori dettagli ed, in particolare, i nomi di quelli che sarebbero stati i fruitori – beneficiari di quel sistema illegittimo; ma, nel contempo, abbiamo soltanto registrato le dimissioni a fatica e rilento, accompagnate da frasi di commiato a dir poco sorprendenti, di alcuni componenti del CSM ed, in ultimo, l’espulsione di Palamara da ANM, accompagnata da pubbliche affermazioni di quest’ultimo che chiamava in causa personalmente quelli che, a suo dire, sarebbero stati i principali esempi di come funzionava quel modo balordo -presentato tuttavia come indefettibile, per riuscire nella mediazione fra le correnti politiche della Magistratura- di gestire le nomine dei vertici della Procure.
I nomi e gli Uffici sono stati indicati chiaramente e facevano riferimento ad alcune delle città più importanti sul piano del contrasto alla criminalità “che conta” nel nostro Paese: Milano, Napoli, Catanzaro ed anche Bologna.
Adesso aspettiamo di conoscere le reazioni da parte di coloro che sono stati chiamati in causa e che ci auspichiamo -come cittadini, prima che come avvocati difensori di tanti inquisiti da quegli Uffici- non potranno assolutamente mancare.
Infatti, escludiamo che ci venga propinata la tesi per cui un uomo che deve le proprie fortune personali al gioco delle correnti politiche si senta davvero libero nella propria funzione, avendo modo di guardarsi attorno a 360 gradi, senza fare distinzioni, laddove debba indagare, intervenire e magari reprimere: sarebbe una prospettazione talmente stucchevole ed ipocrita da non meritare nemmeno replica.
Del resto, se va certamente lasciata libera la coscienza di ognuno, Magistrati inclusi, rispetto alla manifestazione del proprio credo politico, non è decente consentire che la regola divenga quella per cui sono le correnti politiche che determinano la spartizione dei ruoli apicali sul territorio giudiziario, ad onta dei Magistrati liberi che non fanno parte di quelle correnti e che, per scelta rispettabile e nobile, hanno preferito mantenere piena indipendenza non dalle loro idee, ma dalle organizzazioni di matrice partitica che, sul pretesto delle idee, pianificano, spartiscono ed incidono sull’esercizio del potere giudiziario e su quello dell’azione penale in particolare, affidata ai PPMM.
Era proprio per evitare ogni forma di strumentalizzazione della Giustizia che la nostra Costituzione ha garantito l’indipendenza personale dei singoli Magistrati, soggetti esclusivamente alla legge (art. 101), nonché quella della Magistratura nel suo complesso, descrivendola come “ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere” (art. 104).
Dal combinato disposto di queste due norme si desume che il costituente ha voluto escludere ogni pericolo o sospetto di faziosità nelle Toghe, sia nell’aspettativa di vantaggi personali o per il timore di pregiudizio, sia in forza dell’interferenza di altri poteri dello Stato nella funzione giudiziaria così che ogni azione del Magistrato sia frutto di un processo motivazionale autonomo e completo, di propria personale elaborazione, dettata dalla meditazione del caso concreto e giammai come il portato della autocollocazione nell’area di questo o di quel gruppo politico, così da apparire come in tutto od in parte dipendente da quella collocazione.
“Un Magistrato deve apparire libero ed indipendente prima ancora che esserlo” recitava un motto ispirato a profonda saggezza che mi pare attagliarsi alla questione.
L’indipendenza del Magistrato, infatti, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella capacità di sacrificio, nella conoscenza tecnica, nell’esperienza, nella chiarezza e linearità delle azioni, ma anche nella moralità, nella trasparenza della condotta dentro e fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle relazioni e delle manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle amicizie, nella indisponibilità ad iniziative e ad affari, magari consentiti ma evidentemente inopportuni, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza.
La piena indipendenza è il primo e basilare indice di credibilità e quella della Magistratura nel suo insieme e di ciascuno dei suoi componenti è un valore essenziale in uno Stato democratico, oggi più di ieri.
Il Magistrato, in epoche buie come questa -che, a breve, potrebbe anche presentarci il conto di una recessione postpandemica di inaudita gravità- deve offrire di se stesso non l’immagine austera o compresa del proprio ruolo e della propria autorità, ma di persona autenticamente libera, seria ed equilibrata, capace di condannare ma anche di capire l’uomo verso il quale procede.
Una figura siffatta è quella propria dello Stato di diritto ed esaltata nella Carta costituzionale né vi può essere relazione fra l’immagine del Magistrato e la società che cambia, nel senso che la prima non dovrà subire modificazione alcuna, quali che siano i capricci di costume della seconda: il Magistrato di ogni tempo deve essere ed apparire libero ed indipendente e tanto può essere ed apparire ove egli stesso lo voglia e deve volerlo per essere degno della sua funzione e non tradire il suo mandato.
Solamente se il Magistrato realizza in se stesso queste condizioni, la società può accettare che abbia sugli altri un potere così vasto come quello che ha, giacchè chi domanda giustizia deve poter credere che le sue ragioni saranno ascoltate, senza pregiudizio e preconcetto di sorta, ad opera dell’Autorità alla quale si rivolge; e non soltanto a Berlino -come invocava Arnold di Sans Souci- od a Strasburgo ove opera la CEDU, ma in ogni città del nostro Paese.
Ma siamo maturi per andare schiettamente in questa direzione e per sovvertire un sistema sgangherato e traditore della Costituzione che tutti apparentemente ripudiano ma che nessuno davvero pare voglia abbandonare ? Temo proprio di no.
Sicchè, nell’arco di qualche tempo, dopo qualche altro irrilevante sussulto, anche questa storia così amara per il nostro sistema Giudiziario uscirà dal dibattito sociale e dall’attenzione mediatica e tutto procederà oltre, quasi fosse condizione ineluttabile e che dobbiamo oramai accettare, pur nella sua indecenza.
Ed avremo perso così l’occasione buona, forse l’ultima, per rimettere a posto le cose e dimostrare di essere davvero un Stato di diritti, civile e democratico.
Avv. Gabriele Bordoni
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