IL LEVIATANO DEL 21° SECOLO: INFORMATICO DISINFORMATO (contenuto: stato, libertà)
Al fine di programmare la “fase due”, sette Paesi europei si sono adoperati per attivare un sistema di tracciabilità dei contagi del virus, proposto, in primis, da Apple e Google, che ha la caratteristica di ritracciare i soggetti che la scaricano, mediante il dispositivo Bluetooth.
In particolare, l’Italia, in seguito all’elaborazione di innumerevoli progetti, ha fatto ricadere la scelta su due App principali: IMMUNI e COVID APP, optando, infine, per la prima.
L’obiettivo primario di “IMMUNI” è quello di individuare, isolare e porre in quarantena chi ha i sintomi del virus prima che contagi altri soggetti, per sventare il generarsi di nuovi focolai. Tale tracciabilità, definita “contact tracing” dovrebbe monitorare attraverso smartphone i contatti sociali cosicché se un soggetto dovesse risultare positivo si allerterebbero, di conseguenza, tutte le persone con cui è entrato in contatto precedentemente.
Questa soluzione è stata pensata su base adesiva volontaria e questa sorta di postilla contrattuale specifica fra Stato e cittadino porta a qualche semplice riflessione.
Quanto è stato subito posto in evidenza è legato all’invasione della sfera privata e della riservatezza dei consociati, inevitabile con un tale sistema di tracciabilità; ma di fronte al bene comune della salute -e della stessa vita- probabilmente quel sacrificio poteva essere anche imposto, senza sovvertire presidi costituzionali posto che l’art. 2 dei principi fondamentali ricorda come la Repubblica richieda l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale ed il dovere di non veicolare malattie specie se così gravi probabilmente può essere inquadrato all’interno di quel concetto.
Ma il punto, probabilmente, è un altro.
Il momento che sta attraversando il nostro Paese come l’intero Pianeta è caratterizzato da massima incertezza di fronte ad un nemico ancora in larga parte sconosciuto -nell’origine, natura e potenzialità di resistenza nel tempo- che ha portato e sta portando tuttora le persone sull’orlo dell’esasperazione.
A questa umanità sconcertata e preoccupata viene chiesto da parte dello Stato di stringere una sorta di accordo specifico, sovrapposto al patto sociale stabilmente accettato, invocando a fondamento la tutela solidaristica della salute pubblica.
Questo patto, rispetto al quale i cittadini rappresentano la parte “contrattuale” più debole, propone un sinallagma che vede questi ultimi rinunziare ad un diritto costituzionale certo, quello alla loro riservatezza -che viene consegnata alla rete informatica ed esposta così al rischio della diffusione- mentre lo Stato che, per un verso, non può garantirli da quella eventualità (non essendo diretto gestore di quella rete) e, per l’altro, impone una mappatura senza ancora averne chiarito la scientifica valenza.
Infatti, come si accenava, il sistema prevede che il soggetto, risultato positivo al virus in esito al c.d. tampone, riceva un codice da inserire nella ridetta app così avviando il processo di notifica che autorizza quel cellulare a caricare un suo identificativo che da quel momento lo rende millimetricamente tracciabile; nel contempo, verrà inoltrata una segnalazione ai cellulari di chi nei 14 giorni precedenti a quelli di innesco dell’app del contagiato è stato in contatto diretto con quest’ultimo per più di 15 minuti.
In altre parole, il sistema avviserà chi è stato a stretto contatto con il contagiato, interrompendo così il più possibile la catena di contagi e permettendo alle persone venute in contatto con i positivi di auto isolarsi ed andare ad eseguire il tampone; la diffusione esponenziale che ne deriverebbe rispetto a tutti coloro che fossero stati a loro volta a contatto con i contatti rende plastica l’immagine della infinita ramificazione che ne potrebbe scaturire, forse di difficile gestione logistica al fine prevenzionale indicato, ma certamente capace di descrivere il quadro dei collegamenti significativi di ogni persona fra le tantissime coinvolte nella mappatura.
Quale sia l’affidabilità del rintraccio dei contatti (posto che l’esperienza processuale insegna che le vicinanze di collegamento cellulare spesso, per svariate ragioni tecniche, non sono affidabili nel collocare spazialmente un’utenza ed il suo presunto titolare) è tema da sviluppare in riferimento a questo specifico sistema che, soprattutto, andrebbe verificato nell’effettiva tenuta di sicurezza (essendo prevedibili, come la storia del cyber crime insegna, intrusioni e dispersoni di dati) e nel suo anonimato, caratteristica che appare di fatto meramente virtuale, laddove i nomi di tutti i protagonisti -dal primo contagiato a tutti i verificabili- dovrebbero essere catalogati.
La stessa terminologia utilizzata in tema nel decreto secondo la quale i dati raccolti “debbono rimanere anonimi o pseudonimizzati” propone un gioco di parole rischioso, laddove il primo dei termini impiegati presuppone l’impossibilità assoluta di collegare l’identità di una persona ad un determinato dato, mentre il secondo permette di rilevare i dati di una persona ma di associarli temporaneamente ad uno pseudonimo che tuttavia può richiamare agevolmente l’identità di quella persona.
Ma, soprattutto, è ancora da comprendere se la strategia legata ai tamponi, patrocinata o criticata in pari percentuale dal mondo politico e, per quel che più conta, medico specialistico ha una sua capacità di incidenza effettiva come metodo di contrasto alla diffusione dell’infezione e di perimetrazione dei possibili focolai; non sappiamo nemmeno se i malati “svezzati” dopo due tamponi negativi possano dirsi immunizzati ed insensibili a nuove ricadite, oppure possano divenure in seguito portatori sani del virus.
Gli stessi tamponi lasciano ancora aperte discussioni quanto ad efficacia ed affidabilità, laddove sono stati registrati non isolati casi in cui un soggetto, pur presentando i sintomi riconducibili al Covid 19, risultava negativo -in realtà essendo malato- così come altri esponenti contraddittorietà seppure effettuati sulla medesima persona nello stesso momento.
In queste condizioni di massima labilità circa la sicurezza ed affidabilità del sistema di monitoraggio a distanza e degli stessi strumenti scientifici di verifica della malattia, allora, probabilmente non è tanto il sacrifizio della nostra riservatezza a doverci infastidire, ma se quel sacrificio veda una adeguato premio di ricompensa nell’interesse collettivo.
Hobbes sosteneva che l’uomo non è guidato da alcun istinto sociale, essendo congenitamente utilitarista, ma ricerca la società per bisogno ed interesse, sicchè lo Stato è il frutto artificiale di un patto volontario che gli uomini hanno stretto, trasferendo a quella entità una parte del loro diritto naturale assoluto: ma a patto che lo Stato rechi in cambio sicurezza (salus populi suprema lex) e protezione.
Se quella è la teoria fondante degli Stati moderni, laddove questi intendano sottoscrivere appendici a quel contratto è bene che lo facciano rispettando quelle regole fondamentali, ricevendo un diritto ma rendendo un servizio sicuro, governando una scienza -informatica e medica- che per essere tale deve conoscere le conseguenze di quanto va facendo.
Diversamente, sarebbe un patto squilibrato e quindi difettoso, sotto ogni profilo giuiridico ed allora sarebbe da chiedersi se vale la pena rinunziare alla nostra riservatezza per avere in cambio, da questo Leviatano dei giorni nostri, informatico ma disinformato, soltanto ipotesi ed incertezza.
Avv. Gabriele Bordoni
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Ho letto il suo articolo in questi giorni e mi permetto di inviarle alcuni commenti e una domanda.
Non essendo un giurista ma un informatico di professione alcuni elementi hanno destato il mio interesse. Premetto che ho scaricato l’applicazione Immuni con il mio cellulare e su un piano della navigabilità l’ho trovata molto semplice: mi ha chiesto le generalità (nome e cognome) e la provincia di abitazione.
La questione che porto alla sua attenzione è la seguente: da ciò che ho capito questa applicazione, tramite lo standard di trasmissione dati Bluetooth, crea una memoria di reti di relazioni anonime (criptogafate) all’interno della provincia dichiarata e ci comunicherà se una persona vicina territorialmente sia positiva al coronavirus (a sua volta questa persona deve avere comunicato alla app Immuni tramite un operatore sanitario la propria positività, situazione prevista dalla applicazione). Quindi potrebbe arrivarmi nei prossimi giorni una segnalazione che ho incrociato una persona positiva al coronavirus e dovrei mettemi in quarantena a mia volta. (In primis si sono incrociati i nostri cellulari che mantengono in memoria la relazione avvenuta).
Il mio dubbio è il seguente: su un piano giuridico è legittima una comunicazione di sospetto diagnostico (eventuale contagio) senza un soggetto medico che “tranquilizzi e contestalizzi” questa stessa comunicazione? Senza un riferimento professionale una tale comunicazione potrebbe scatenare un paura non controllabile e una ricerca dell’untore. Ricordiamoci che questa infezione ha avuto spesso conseguenze drammatiche per le persone contagiate.
Inoltre questa epidemia ha aperto scenari nuovi e preoccupanti e ha messo le persone di fronte a delle responsabilità a cui molte non erano pronte su un piano culturale e psicologico, in condizioni di massima labilità come lei ha giustamente scritto.
La ringrazio per avermi ospitato sul suo blog.
E’ proprio questo il punto centrale della mia riflessione critica: imporre limiti alla libertà od assumere iniziative come quelle derivanti dal contatto fra plausibili positivi, senza che tutto ciò sia scientificamente confermato nella bontà dei presupposti è inaccettabile. I sacrifici dei principi inviolabili dell’Uomo che la nostra Costituzione e la Cedu, oltre che le Carte internazionali, riconoscono oramai da decenni può essere accettato soltanto se si conoscono davvero le ragioni perché quei sacrifici vengono imposti. Diversamente è un atto autoritario prevaricatore, approssimativo e duttile ad ogni forma di strumentalizzazione liberticida. Ecco perché ho ritenuto di porre questo mio semplice pensiero all’attenzione di chi, come Lei (e ne sono lieto) ha interesse a leggermi; troppa supina e rassegnata accettazione delle imposizioni ho notato in questo periodo anomalo, segno di una coscienza civile rarefatta. Non auspico un mondo di ribelli, ma un mondo di consapevoli che prima di accettare una imposizione si chiedano almeno se chi la dispone ne abbia compreso il perché e ne abbia il pieno e corretto controllo, garantendo quella sicurezza che, nel patto sociale, è il contrappeso sinallagmatico della privazione imposta. Questa mi pare civiltà, non la caccia all’untore su basi incerte e mediante l’invasione della riservatezza e della libertà di ognuno